giovedì 29 ottobre 2009

Il primo Personal Computer è italiano!

Credete che il primo personal computer sia stato progettato e costruito in America? In Giappone? In Cina? Ebbene, allora è proprio il caso che leggiate questo post!!

Il primo personal computer è stato progettato e costruito in Italia! Sì, esatto proprio nel Bel Paese! Precisamente nel 1965 dalla azienda italiana Olivetti, da un brillante ingegnere torinese di nome Pier Giorgio Perotto.

Erano gli anni in cui i computer erano giganteschi main frame utilizzati eslusivamente da grandi aziende o laboratori scientifici. Macchine piccole e comode da utilizzare a casa o in ufficio erano ancora un sogno.

Nella seconda metà degli anni Cinquanta l'ingegner Perotto, appena laureato, si occupava di aerodinamica al Politecnico di Torino. Gli aeroplani a uso civile cominciavano a viaggiare a velocità vicine a quella del suono e occorreva pertanto verificare che le strutture portanti dei velivoli non andassero a farsi friggere sotto le sollecitazioni provenienti dall'alta velocità. I ricercatori effettuavano i calcoli necessari agli studi uno per uno tramite sofisticate calcolatrici meccaniche: immaginate che noia!! Giornate intere passate a introdurre manualmente sfilze interminabili di dati. Bastava una distrazione, un errore anche minimo per gettare alle ortiche ore e ore di lavoro. Così per giorni e giorni, arrivando esausti al termine di ogni giorno.

Fu allora che nacque in Perotto il sogno, come confesserà più tardi lui stesso, di una macchina "che fosse in grado non solo di compiere calcoli complessi, quanto di gestire in modo automatico l'intero procedimento di elaborazione".

Perotto si trovò a operare in Olivetti nel periodo in cui Direttore Generale era Natale Capellaro, genio della meccanica del calcolo, persona poco nota al grande pubblico ma alla cui intelligenza e genialità si debbono i prodotti e i progetti che hanno fatto la storia dell'Olivetti. Singolare figura di operaio-inventore, aveva progettato la macchina da calcolo Divisumma 24, il cui clamoroso successo di mercato aveva guadagnato allo stesso Capellaro la posizione di Direttore Generale dell'Olivetti e la laurea in ingegneria, honoris causa, dall'Università di Bari.



Capellaro aveva raccolto attorno a sé un gruppo di progettisti, tutti dotati di straordinario talento e creatività. Tra di essi spiccava Perotto, capo di un gruppo di studio e progetto per applicazioni che oggi chiameremmo di informatica distribuita. All'epoca la tecnologia elettronica era ancora molto costosa, ma Perotto aveva intuito la possibilità di progettare e realizzare piccole applicazioni a costi ragionevoli.

Capellaro lasciò grande libertà di azione a quel giovane di cui aveva stima professionale e umana, nonostante le sue intuizioni sembravano in evidente contrapposizione con le strategie aziendali del momento. Erano i primi anni '60, la situazione del mercato non lasciava presagire nel breve termine un ingresso dell'elettronica tra i prodotti per ufficio, potendosi pensare al massimo a qualche sua applicazione marginale. Per questo a Ivrea avevano puntato su prodotti a tecnologia meccanica di alta sofisticazione, sia nel campo delle calcolatrici che in quello delle macchine contabili. Il fiore all'occhiello dell'azienda avrebbe dovuto essere la super calcolatrice meccanica scrivente Logos 27, per realizzare la quale si stava spendendo un autentico patrimonio, da sfoggiare al BEMA Show, la grande mostra mondiale di macchine per l'ufficio in programma nell'ottobre del '65 a New York.



Avendo deciso di puntare su prodotti a tecnologia meccanica di alta sofisticazione, sia nel campo delle calcolatrici che in quello delle macchine contabili, l'Olivetti aveva proprio ceduto la Divisione Elettronica, in cui Perotto era operativo, a General Electric . Nell'imminenza di una grande ristrutturazione che avrebbe da lì a pochi mesi riorganizzato le attività operative della casa madre, figuratevi quanto interesse l'establishment di Ivrea poteva avere per il piccolo gruppo di progettisti diretto da Perotto, considerandoli un ramo secco dell'azienda

Un momento di completo abbandono, senza capi nè lavoro, in cui, un altro, al posto di Perotto ne avrebbe approfittato per passare le mattinate al bar dello sport a parlare di calcio con gli amici, ma di cui invece Perotto approfittò per lavorare in santa pace, senza interferenze aziendali, al suo progetto da tempo accarezzato.
Ecco come Perotto descrive, ironicamente, quel periodo: "Olivetti aveva mantenuto una peculiarità singolare: quella di consentire a chi non ha il cattivo gusto di andare a chiedere cosa può fare di utile, domanda sempre imbarazzante, di godere di una invidiabile libertà. Un'altra domanda che ritenni non opportuno porre ad alcuno era da chi mai noi dipendevamo. In altre parole, invece di preoccuparci più di tanto del nostro stato di abbandono, di essere senza capi e senza lavoro, cercammo di individuare uno scopo e un obiettivo […] feci presente che il mio programma di lavoro era quello di esplorare la possibilità di utilizzare l'elettronica in futuri piccoli calcolatori di fascia più alta di quella coperta dalle soluzioni in fase di progetto a Ivrea, ma non a livello dei grandi e costosi calcolatori esistenti sul mercato."

Perotto ricompensò la fiducia e la stima riposta in lui da Capellaro facendolo diventare la prima persona a vedere il prototipo funzionante di personal computer.

Perotto accompagnò personalmente Capellaro a vedere la macchina appena assemblata e gli mostrò alcuni programmi provati nei giorni precedenti, che riproducevano alcuni calcoli che venivano fatti più frequentemente negli uffici con sequenze manuali con la Divisumma 24 e che la Perottina realizzò automaticamente, stampando con grande velocità lunghe sequenze di risultati.

Si racconta che Capellaro dopo aver osservato con grande attenzione le fasi del lavoro, della macchina, restò a lungo in silenzio come assorto. Quando si riprese, batté una mano sulla spalla di Perotto e disse: "Caro Perotto, vedendo funzionare questa macchina, mi rendo conto che l'era della meccanica è finita".

Nel 1965 l'Olivetti e l'ing. Pier Giorgio Perotto presentarono al BEMA Show di New York Programma 101, una specie di “grande calcolatrice” in grado di eseguire le 4 operazioni, più la radice quadrata. Un grande passo avanti per l’epoca, e grazie al prezzo, non altissimo a confronto ai concorrenti, ( 3.200$ contro i 25.000$ ), riusci a vendere moltissimi esemplari, di cui il 95% in America.

Conosciuta anche come "Perottina", la macchina, grande quanto una calcolatrice, era il primo prototipo di computer personale, adattato alle esigenze di un'azienda e di un ufficio.



Una curiosità: i vertici dell'Olivetti accolsero l'istanza di presentare la Programma 101 al BEMA Show di New York con una certa noncuranza, non considerandola funzionale alle strategie aziendali che puntavano tutto sui nuovi prodotti meccanici per il rilancio dell'Azienda. In pratica le alte sfere dell'Olivetti snobbavano la Programma 101, non scommettevano una lira sul successo di un prodotto che ritenevano non avrebbe mostrato alcun vero interesse, esclusa forse qualche nicchia insignificante.

Fu solo per non sembrare sorda all'innovazione che l'alta direzione dell'azienda decise di portare la Programma 101 al BEMA, ma senza alcuna aspettativa al riguardo. Il primo personal pomputer della storia, che allora venne chiamato "The first Desk Top Computer in the world", faceva così il suo debutto in società entrando dalla porta di servizio: chi avrebbe immaginato - forse neanche lo stesso Perotto - quale straordinaria rivoluzione tecnologica si stava preparando?

Al BEMA Show tutti i principali costruttori mondiali di allora, sia di grandi calcolatori sia di macchine per ufficio, avevano organizzato propri stand. Anche l'Olivetti ne aveva predisposto uno, molto grande, a forma semicircolare, con in mezzo le Logos 27, su apposite piattaforme. Alla Programma 101 era stata riservata una cenerentolesca saletta, molto defilata in fondo allo stand.

Inutile dire che, fin dal primo giorno di apertura della mostra, si verificò un fatto imprevisto e , almeno per alcuni, sconvolgente.

Ce lo racconta l'ing. Perotto: "Non appena il pubblico si accorse della Programma 101 e si rese conto delle sue prestazioni, cominciò ad affollarsi nella saletta, desideroso di mettere le mani sulla tastiera, di avere informazioni su quando il prodotto sarebbe stato disponibile, sul suo prezzo. In un primo tempo le reazioni furono quasi di diffidenza: alcuni chiesero se per caso la macchina non fosse azionata da qualche grosso calcolatore nascosto dietro la parete! Poi la diffidenza si mutò in stupore, infine in entusiasmo."

Il clamoroso successo di pubblico della Programma 101 oscurò completamente tutte le altre macchine presenti. Per disciplinare l'afflusso dei visitatori alla Programma 101 si fu addirittura costretti a disporre uno speciale servizio d'ordine. Erano passati solo tre mesi dalla costituzione ufficiale della società OGE (Olivetti General Electric), che sanzionava di fatto il disinteresse di Olivetti verso le tecnologie elettroniche!!

Bisogna dire che la calorosa accolgienza riservata dal pubblico al nuovo prodotto fu dovuta anche all’ottimo e rivoluzionario lavoro dell’architetto e designer Mario Bellini che fece ottenere alla sua azienda il prestigioso premio Industrial Design Award.

Purtroppo però dopo qualche tempo, il potenziale del “pc” non fu capito dai piani alti della Olivetti, che decise di puntare al rilancio della propria tecnologia meccanica. Che peccato…

Nel 1991 Pier Giorgio Perotto ha ricevuto il Premio Leonardo da Vinci per aver realizzato il primo personal computer del mondo: Programma 101

Della Perottina e della sua ideazione Pier Giorgio Perotto affermò:

Sognavo una macchina amichevole alla quale delegare quelle operazioni che sono causa di fatica mentale e di errori, una macchina che sapesse imparare e poi eseguire docilmente, che immagazzinasse dati e istruzioni semplici e intuitive, il cui uso fosse alla portata di tutti, che costasse poco e fosse delle dimensioni degli altri prodotti per ufficio ai quali la gente era abituata. Dovevo creare un linguaggio nuovo, che non avesse bisogno dell'interprete in camice bianco