Un'immagine digitale è composta essenzialmente da un certo numero di punti colorati, i pixel, disposti ordinatamente in una griglia di dimensioni fissate. Ad esempio una foto da due megapixel sarà composta da circa 2 milioni di pixel disposti in un rettagolo di dimensioni 1600x1200 pixel per lato circa.
Stampare una foto significa riportare su carta tutti i punti costituenti l'immagine.
Qui interviene il concetto di dpi. Un certo valore di dpi ( dots per inch ) infatti ci dice quanti punti (dots) vengono stampati per ogni pollice (inch). Valori più alti significheranno che i punti saranno più fitti, più vicini tra loro. Al contrario valori bassi indicheranno che i punti avranno una densità, una distanza tra di loro più elevata.
Punti troppo distanti tra loro daranno luogo ad un'immagine poco definita, granosa in cui i punti stessi saranno visibili ad occhio nudo con conseguente degrado della qualità della stampa.
Aumentando la densità dei punti si ottengono immagini migliori, in cui non è presente alcun effetto grana e in cui i passaggi tonali sono più graduali e delicati.
A causa della struttura stessa dei nostri occhi però è inutile superare una cera soglia di definizione. Il nostro apparato visivo infatti è in grado di distinguere dettagli fino alla risoluzione di circa 300dpi. Oltre questo valore, ogni informazione aggiuntiva verrebbe confusa con le altre e non sarebbe rilevabile.
Per questo motivo si è stabilito che la risoluzione ottimale per un'immagine fotografica sarà di circa 300dpi (massima qualità) con un minimo di 200-240dpi in casi particolari.
(tratto da http://www.zmphoto.it/articoli/2004_risoluzione_dimensioni/ris_dim_index.php)